mercoledì 25 marzo 2009

"Why yes" De magistris parla della nuova massoneria

di Sergio Nazzaro e Pietro Orsatti

Lei ha recentemente dichiarato che con le inchieste Why not e Poseidone vi siete avvicinati a una sorta di nuova P2. In continuità con quella più conosciuta, storicamente accertata?
Io penso assolutamente di sì. La continuità è evidente, del resto il “Piano di rinascita democratica” è stato in gran parte attuato, in altre parti è stato riformulato in modo più pertinente con le esigenze contemporanee. In particolare passa attraverso il condizionamento totale degli organi di controllo e dei presidi di legalità democratica che sono soprattutto la magistratura e la libera informazione.
Il controllo è in atto?
Direi di sì. L’informazione è in gran parte controllata. La magistratura è stata molto condizionata in questi anni anche per colpa di una parte della magistratura stessa. C’è una continuità anche di nomi, di personaggi, di ambienti. Credo che siano cambiate alcune formule di affiliazione, nel senso che fra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 erano molto importanti anche i simbolismi. Non è che siano scomparsi, quelli sono facilmente identificabili attraverso un’attività di indagine giudiziaria. Per intenderci: l’accesso a Castiglion Fibocchi nel 1981 da parte dei giudici Colombo e Turone - che hanno lasciato entrambi la magistratura, e questo è un dato da non sottovalutare - era un atto non prevedibile. All’epoca, quindi, gli affiliati venivano iscritti manualmente, si trovavano compassi e grembiulini, c’erano rituali. Oggi non si sente più la necessità. O l’affiliazione è cosiddetta “all’orecchio”, ovvero si sa che uno appartiene alla massoneria, oppure ci sono altri modi.
La massoneria è cambiata davvero, oltre ad aver mutato la sua simbologia?
Io tenderei a estendere il concetto stesso di massoneria. La definizione “massoneria” è perfino riduttiva. Qui siamo davanti a una gestione occulta del potere. Un potere nel potere. Questi sono pezzi importanti del Paese e delle istituzioni, delle professioni e della società che sono penetrati all’interno dei meccanismi economici istituzionali e politici e li governano di fatto dall’interno. Non si sa nulla all’esterno. È qualcosa di molto più pericoloso.
Qualcosa di più anche di un comitato d’affari?
Sì, certamente. Se si pensa che all’interno di questo circuito occulto una parte rilevante la occupa la criminalità organizzata, soprattutto Cosa nostra e ‘ndrangheta, che gestiscono un aspetto assai rilevante del Pil del nostro Paese, si può capire di che tipo di gestione stiamo parlando. Non è più il condizionamento del singolo parlamentare come era una volta o il condizionamento al singolo appartenente alle istituzioni. È qualcosa di molto più vasto.
Ma quando ha iniziato a indagare aveva già le sensazione di potersi trovare davanti a quella che lei definisce la nuova P2?
No. Sapevamo di toccare il cuore del problema andando a indagare sui meccanismi di gestione del denaro pubblico. Il grande problema della nostra democrazia. Mi sono reso conto molto presto, con le inchiesta Poseidone e Why not, che stavamo toccando qualcosa di più vasto, con ramificazioni che arrivavano ovunque.
Con dentro anche la politica, quindi.
Nelle inchieste che mi sono state sottratte illegalmente questo era evidente. C’erano esponenti della criminalità organizzata tradizionale da un lato, e dall’altro anche esponenti del mondo economico e politico espressione della criminalità. Un tutt’uno. Un’unica metastasi. Agiscono all’unisono per governare occultamente il Paese, soggiogandolo.

Tratto da www.orsatti.info

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